archeologia del presente

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Paolo Vernaglione Berardi

Nell’archeologia il presente è un modo di indagare il mondo che risale ai punti di insorgenza dei fenomeni. Il profilo dell’archeologia per un verso guarda ad una storia della verità sempre possibile; per altro verso evolve in genealogia che contrasta l’attualità con la presenza, indaga antropologie impreviste e soglie post-umane.

L’ordine del discorso articola i criteri di inclusione e di esclusione, le forme in cui una scienza si dispone e viene comunicata, mentre se ne tace la provenienza; la costituzione dei saperi specialistici relega i saperi assoggettati nella zona franca e marginale dell’indicibile; infine nell’enunciazione costituita in discorso la verità del soggetto emerge nelle tecnologie del sè e nelle pratiche di soggettivazione.

L’estensione dell’archeologia ci consente di far emergere la forma dei dispositivi di governo della vita, le genealogie delle lotte e le strategie impiegate nei rapporti storici tra soggettività e verità. La costituzione storica della soggettività emerge negli apparati di cattura di affetti e desideri, speranze e aspettative, stili ed estetiche, giocando la libertà e concedendo l’autonomia, ma ribadendo la subordinazione e inducendo la reazione al contrasto e all’anomalia, al singolare e al composto, all’estraneità e alla mancanza. «Come se avessimo paura di concepire l’Altro all’interno del tempo del nostro pensiero». Nelle genealogie si rintracciano gli apriori storici di un’epoca.

Michel Foucault indicava il limite delle ricerche archeologiche nell’impossibilità di superare l’analisi dei discorsi all’esterno dei quali preme il sapere dei dispositivi di potere che quei discorsi giustificano e in cui di organizzano. Sarà quindi la genealogia dei dispositivi di sapere-potere ad evidenziare gli intrecci tra discipline, scienze e tecnologie di governo delle popolazioni, mentre è sul piano dei modi di formazione della soggettività che emergono i rapporti storici tra soggetto e verità.

L’ “al di là” dell’archeologia è in un certo senso contenuto all’interno della pratica archeologica; permette di passare dall’analisi delle formazioni discorsive all’indagine dei dispositivi in rapporto alla soggettività; d’altra parte l’archeologia evolve all’esterno, dall’elaborazione dei discorsi al campo di problematizzazioni storico-filosofiche.

Archeologia del presente

Dalla posizione in cui siamo ciò che giunge al presente proviene da un passato che ancora ci riguarda. Da questa posizione relativa siamo partecipi della guerra, della devastazione della terra, degli incentivi a valorizzare la ricchezza come elemento di discriminazione antropologica mentre assistiamo all’esproprio delle possibilità comuni,  al realizzarsi della vita reazionaria.

Possiamo leggere e replicare a quanto condividiamo senza bisogno di produrre la nostra versione del mondo. Possiamo aver già rotto con una realtà infame senza informare nessuno del nostro esilio.

Ma è da questa diserzione che nominiamo parole, cose e azioni.

La ragione della composizione del tempo in parole e in immagini è ancora una volta nell’urgenza di rompere la cortina dell’ “io” che separa dal mondo e ripara dal degrado, per esporci ad una verità imprevedibile, ad una concreta esigenza.

Questo è l’archivio in cui è registrato lo stato del mondo. Può assumere la qualità del vero a cui è indotto il pensiero. La storia della verità è la qualità storico-politica dell’archeologia che eredita il tentativo di oltrepassare la metafisica. Non per ritornare all’esperienza originaria di una sapienza che parlava, argomentava, consigliava; una sapienza in cui logos e physis si richiamavano in una tagliente opposizione.

Nè per fare un diario che sarebbe l’ennesima cronaca soggettiva che vorrebbe scoprire la verità del mondo attraverso il proprio sguardo. Tantomeno per alimentare una scrittura che sarebbe solo esercizio di stile che inorgoglisce, – l’opera inutile che si apprezza per la bellezza della lingua negli anni della reazione breve e condizionata. Queste istanze sono dislocate lungo il confine tra l’istinto e la sua realizzazione.

L’archivio è l’effetto del “fuori”, l’evento di una dispersione. Nel sondarlo si avverte il tanfo delle menzogne e dei poteri, dell’oppressione e delle ingiustizie. Vi si rende leggibile l’intorno melmoso dell’enunciazione, l’alone storico che circonda i singoli enunciati.

D’altra parte l’archivio è anche l’eterogeneità materiale che non vuole essere espressa, che resiste al gioco dialettico della ragione e non si offre all’indagine documentale e all’elaborazione sistematica. Rimane un sapere inconoscibile che consiste nella presenza: è l’effetto storico di ciò che si è detto e di ciò che si è fatto ed è memoria del presente.

Non bisogna per forza sapere se questo basta, ma se tale è la forma di sapere che, messa in questione, libera l’avvenire da ciò che siamo.

2 risposte

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  2. Avatar Stefano Tuzzato
    Stefano Tuzzato

    Pensavo di segnalarvi un volume da me curato (TUZZATO 1996) e in particolare “Padova. Botteghe e tradizione. Per un’estetica del quotidiano e un’archeologia del presente”, e il testo di A. De Guio lì compreso, ma non capisco i vostri contenuti! Forse è tutt’altro. Saluti

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